ROK KOLO'
La vita della città è fatta di tante piccole bazzecole, di tanti
pettegolezzi: al bar, dal barbiere e dalla pettinatrice, in attesa
negli ambulatori, o sulle banchine per l’autobus.
Nel deserto si affina invece la zona di caccia: per intercettare
e cogliere solo le parole, i pensieri, le azioni che fanno al tuo
caso, che valgono per te; il resto, lascialo passare.
“Caccia solo quel che è necessario, quello che è giusto; il resto,
lascialo, non ci fare caso!”
In città c’è l’invasione di piccioni, pipistrelli e volatili d’ogni
specie, e c’è il rischio di essere contaminati da ognuno di loro;
sono come pettegolezzi che vagano qua e là, e si posano nelle
case dei residenti, creando scompiglio e discordia, scontri e
incomprensioni varie.
Nel deserto, c’è come un roccolo, un capanno per la caccia, per
individuare quello che deve essere colto; non oltre questo, né
di meno di questo.
Nella città si è oggetto di caccia; nel deserto si diventa sempre
più degli abili cacciatori.
In città si è colti in modo imprevisto, e così ci si scopre succubi
delle attrazioni che passano, che siano parole, o pensieri,
o azioni; e solo in seguito c’è la possibilità di pentirsi, se si è
cascati in una di queste trappole.
Nel deserto non c’è imprevisto: dal tuo capanno di osservazione,
nell’attesa, puoi prepararti a cogliere l’occasione giusta, il
pensiero che ti vola sopra veloce, la parola che ti passa davanti,
l’azione che ti viene proposta.
Cacciatori di anime, pescatori di umanità: questa è la vera vocazione
che solo nel deserto può avvenire; in città, la tua anima
è preda continua e la tua umanità è soggetta ad essere disumanizzata,
commercializzata, mercificata.
La prima ocasion che ‘ndai a caciar al mi pais g’hera ‘na
boscaia, g’avea meco ‘n amis che me fasea da guida per far la
caciagion, ma g’hera un tal nebion, ma un tal nebion, che a
scciopetar la baionèta g’avei mai una bela ocasion; e quel che
me disea: sbara, sbara, che speti ancor?
E mi sbarai, e ‘l can de recupero dei osei forai e quasi quasi
finia che mi al copai;
e tut el dì stem lì me e l’amis senza gnià n’osèl ciapàt ma col
can ferì dal me fusìl, e turnem a ca’ con bras ‘l can di osei, con
l’amis pù negher d’un negher per ‘sta disgrasia.
O Maròna, fame la grasia de far rinvegnir chel can del amis,
e de restà sempre al me pais!
pettegolezzi: al bar, dal barbiere e dalla pettinatrice, in attesa
negli ambulatori, o sulle banchine per l’autobus.
Nel deserto si affina invece la zona di caccia: per intercettare
e cogliere solo le parole, i pensieri, le azioni che fanno al tuo
caso, che valgono per te; il resto, lascialo passare.
“Caccia solo quel che è necessario, quello che è giusto; il resto,
lascialo, non ci fare caso!”
In città c’è l’invasione di piccioni, pipistrelli e volatili d’ogni
specie, e c’è il rischio di essere contaminati da ognuno di loro;
sono come pettegolezzi che vagano qua e là, e si posano nelle
case dei residenti, creando scompiglio e discordia, scontri e
incomprensioni varie.
Nel deserto, c’è come un roccolo, un capanno per la caccia, per
individuare quello che deve essere colto; non oltre questo, né
di meno di questo.
Nella città si è oggetto di caccia; nel deserto si diventa sempre
più degli abili cacciatori.
In città si è colti in modo imprevisto, e così ci si scopre succubi
delle attrazioni che passano, che siano parole, o pensieri,
o azioni; e solo in seguito c’è la possibilità di pentirsi, se si è
cascati in una di queste trappole.
Nel deserto non c’è imprevisto: dal tuo capanno di osservazione,
nell’attesa, puoi prepararti a cogliere l’occasione giusta, il
pensiero che ti vola sopra veloce, la parola che ti passa davanti,
l’azione che ti viene proposta.
Cacciatori di anime, pescatori di umanità: questa è la vera vocazione
che solo nel deserto può avvenire; in città, la tua anima
è preda continua e la tua umanità è soggetta ad essere disumanizzata,
commercializzata, mercificata.
La prima ocasion che ‘ndai a caciar al mi pais g’hera ‘na
boscaia, g’avea meco ‘n amis che me fasea da guida per far la
caciagion, ma g’hera un tal nebion, ma un tal nebion, che a
scciopetar la baionèta g’avei mai una bela ocasion; e quel che
me disea: sbara, sbara, che speti ancor?
E mi sbarai, e ‘l can de recupero dei osei forai e quasi quasi
finia che mi al copai;
e tut el dì stem lì me e l’amis senza gnià n’osèl ciapàt ma col
can ferì dal me fusìl, e turnem a ca’ con bras ‘l can di osei, con
l’amis pù negher d’un negher per ‘sta disgrasia.
O Maròna, fame la grasia de far rinvegnir chel can del amis,
e de restà sempre al me pais!
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